In questi ultimi anni ci siamo trovati coinvolti, oltre che in una grave crisi climatica, in due esperienze dolorose inattese.
Una pandemia virale, che sembrava una realtà dei secoli scorsi, e una guerra su vasta scala nello stesso continente europeo con coinvolgimento internazionale, che si riteneva non possibile dopo decenni di presenza dell’ONU e ben conoscendo che le armi non risolvono problemi. È col pianto nel cuore che seguiamo le sofferenze di un popolo.
L’Ucraina e rapporti con Mosca
Pur limitandomi in questo articolo a considerare la situazione ecclesiale dell’Ucraìna, mi sembra necessario fare alcune precisazioni.
Anzitutto è una grande nazione: per superficie è il doppio dell’Italia; la popolazione è di circa 50 milioni, con elevato tasso di istruzione (l’analfabetismo è sotto lo 0,2%). Ha una lunga tradizione culturale ed è al centro delle regioni slave.
Nei tre decenni trascorsi è cresciuta la coscienza dell’identità nazionale, anche in reazione contraria a Mosca e con il desiderio di appartenere all’Unione Europea. Piccolo chiaro segno: le collaboratrici domestiche ucraine in Italia non accettano più di essere salutate in russo, ma soltanto in ucraino!
È sempre stata considerata il granaio d’Europa (con il 58% del suolo che è arativo, in gran parte “terre nere” fertili e ricche di minerali… ed è sfruttato da investimenti internazionali). È dotata di riserve ampie di carbone e ferro, ma non di gas e petrolio, dei quali invece assicura una transito rilevante. I conflitti degli ultimi dieci anni hanno ridotto la produzione industriale.
Le condizioni di salute sono buone, tanto che la speranza di vita per le donne raggiunge i 77 anni, mentre per gli uomini solo i 67 (a motivo dell’alcolismo?). Lo Stato spende il 5% per l’istruzione e il 37% per la protezione civile, dando quindi un’attenzione particolare al cittadino.
Indipendente dall’agosto 1991, ha conosciuto un alternarsi di forze filo-occidentali, che hanno portato anche a un accordo di associazione all’UE nel 2017; e le forze filo-russe, pur minoritarie, che hanno favorito l’annessione della Crimea alla Russia e il loro predominio nelle regioni orientali del Donbass. Ovviamente, nelle trasmigrazioni interne all’impero e all’Urss vi sono molti russi che sono giunti sul territorio ucraino e viceversa.
Tutto ciò influisce pesantemente sulla vita dell’Ucraina, vasto paese che si situa come cerniera tra Occidente e Oriente europeo; il nome stesso “ukraina” significa “bordo”.
Al riguardo, qualche autore rileva che la Russia, anche per le dimensioni di geografia che include la Siberia asiatica e per numero di popolazioni, non si considera “Europa”, ma “altro” con una sua storia, identità e cultura propria, con le quali lo Stato e la Chiesa hanno dovuto e voluto sempre confrontarsi.
Papa s. Giovanni Paolo II, da poco eletto, ci sorprese quando ricordò che l’Europa respirava con due polmoni. Comprendemmo anche che non si potevano classificare la Polonia o l’Ungheria come “Europa orientale” (come si faceva prima). Ora gli esperti ci dicono che in molti strati della mentalità russa esiste un vivo concetto di alterità rispetto all’Europa o all’Asia.
Nonostante tale analisi, va detto che Mosca dal 1996 a oggi ha fatto parte del Consiglio d’Europa, organismo di consultazione europea in campo giuridico con sede a Strasburgo. Incrociando in questa settimana la decisione di Mosca e l’espulsione del Comitato dei Ministri, la Russia ha cessato d’esserne parte dal 16 marzo 2022. Da quanto si comprende, Putin vorrebbe, con la collaborazione del patriarcato, imporre una “Pax Sarmantica” (Russkiy Mir)), almeno in Eurasia.
L’Ucraina si pone etnicamente tra questi due colossi culturali: umanesimo occidentale e tradizione della Grande Russia. Essi hanno molto in comune, ma anche identità proprie. Nell’impero russo del 1800 essa ne era semplicemente una regione, pur essendo all’origine della Russia. L’Unione Sovietica le dette il grado di “Repubblica Socialista Ucraina” e, quando sorse l’ONU, richiese e ottenne di avere, come la Bielorussia, un seggio proprio nell’Assemblea delle Nazioni Unite e nelle loro agenzie specializzate, in aggiunta a quello di Mosca, ma formalmente autonomo con diritto di voto proprio.
Progressi e spaccature nell’ecumenismo
Sotto l’aspetto religioso, il 65% degli ucraini sono ortodossi, l’11% cattolici, il 2% protestanti e un 8% sono cristiani di altre confessioni. Quanti si dichiarano non-religiosi sono circa il 13%. È un popolo religioso: in Russia, ad esempio, gli atei ammontano al 38% (per altri al 25%).
Secondo una tradizione ucraina, sant’Andrea Apostolo avrebbe percorso il fiume Dnepr e avrebbe raggiunto la località che in seguito sarebbe diventata Kiev, profetizzando: «Su queste colline risplenderà la benevolenza di Dio, e qui ci sarà una grande città».
Per quanto riguarda la vita dei cristiani ucraini, è necessario anzitutto vedere quella della vicina Grande Russia. Nella seconda metà del XX secolo, sotto l’impulso del Concilio Vaticano II, vi sono stati avvicinamenti ecumenici importanti del movimento sostenuto dal Consiglio mondiale delle Chiese. Tuttavia, già allora il termine “ecumenico” non era accettato a Mosca, perché poteva significare “irenismo”; si doveva parlare invece di “relazioni tra le Chiese cristiane”.
Non fu mai possibile un incontro con il papa, sia per una certa opposizione dell’ambiente conservatore che circondava (e, dicono, circonda) il patriarca, sia per ostacoli frapposti dal governo sovietico ad un avvicinamento verso l’Occidente. Si sa che un incontro è avvenuto a Cuba con papa Francesco nel 2016 e che un secondo era in programma, ma ora non pare attuabile. Recentemente, il 16 marzo, vi è stata una conversazione telefonica, terminata con un comunicato congiunto che sostiene i negoziati di pace. Il patriarca poi ha detto che spera in una «pace giusta»; il papa ha parlato espressamente di guerra dichiarando che non esistono «guerre giuste» e che le conseguenze dei conflitti pesano sulla gente e anche sui militari russi.
La caduta del regime sovietico e dell’ideologia ha portato la libertà religiosa e la Chiesa russa ha notato un rifiorire di partecipazione nelle chiese e un ritorno dell’appoggio anche economico delle autorità civili, iniziando dalla costruzione della grande cattedrale del Salvatore (con marmisti italiani, soprattutto toscani) al centro di Mosca.
La Santa Sede, sia pure gradualmente, ha potuto ristabilire una gerarchia in Russia e soprattutto in Ucraina, aprire seminari e ottenere relazioni diplomatiche stabili nelle due capitali.
Ora lo slancio del Consiglio Ecumenico mondiale si è affievolito e l’ortodossia, non più oppressa dal bolscevismo, ha cercato una sua autonomia anche rispetto al COE… e sono sorte divisioni tra il gruppo di Chiese che si rapportavano a Mosca e quelle che invece guardavano al patriarca ecumenico del Fanar. La scissione sfociò nel fallimento del “Concilio panortodosso”, che segnò non un incontro di comunione (pur predisposto da decenni, con il suo Segretariato a Ginevra) ma una rottura: le comunità di “obbedienza” russa non parteciparono e quelle che si radunarono non riconobbero la natura di “Chiese” alle comunità latine sia cattoliche che protestanti.
Sono noti i contrasti tra autorità cristiane di Roma e di Costantinopoli: mentre i primi insistevano sulla successione apostolica, gli altri sull’importanza politica delle strutture imperiali e, quando quelle occidentali vennero meno, si considerarono “la seconda Roma”. Questa non mancò di slancio missionario verso il nord, con un centro propulsore a Kiev e quindi accompagnando il sorgere della capitale del nuovo impero russo, Mosca.
Nel 1453 Costantinopoli cadde in mano ai musulmani e i russi si sentirono i “patroni” della cristianità, come “Terza Roma”.
L’evangelizzazione era giunta anzitutto nel granducato di Kiev soprattutto ad opera dei missionari greci di Costantinopoli che adottarono l’alfabeto cirillico (di san Cirillo), e progressivamente diffusero il messaggio di Cristo; Kiev è chiamata la “città madre della Santa Russia”.
La prima battezzata della corte fu la principessa Olga nel 957, ma spettò a Volodymyr, qualche decennio dopo, appoggiare il cristianesimo, come pure unificare politicamente la sparse e inquiete tribù. Battezzato nel 988, fece erigere una metropolia per lo “stato della Rus”. Questo subì le devastazioni dell’invasione dei mongoli nel 1240, quindi si ricostituì e spinse l’evangelizzazione verso il centro-nord raggiungendo Mosca e oltre.
Politicamente il territorio dell’Ucraina venne poi a far parte del vasto regno lituano-polacco, finché non si impose l’impero russo. Nel 1589 questo si dotò, con scelta autonoma, di un Patriarcato, riconosciuto poi dagli altri patriarchi d’oriente nel 1593. Oggi rappresenta la più vasta Chiesa ortodossa, con almeno 150 milioni di aderenti, rispetto ai 220 milioni di ortodossi nel mondo (dati statistici incerti, che altri vorrebbero elevare a cifre superiori: gli ortodossi russi nel mondo sarebbero 260 milioni).
Al Concilio di Firenze (1439) vi furono posizioni diverse, dopo una prima adesione. Invitati al Concilio di Trento, nel suo terzo periodo (1562-63), non vennero per ragioni varie.
Sviluppi recenti e dissensi nelle Chiese cristiane in Ucraina
In Ucraina si erano stabilite comunità cattoliche di rito sia bizantino sia latino. Tra gli ortodossi è secolare una divisione (pur senza considerare alcuni gruppi minoritari più conservatori) tra quelli che volevano una propria autonomia e quelli che si riferivano a Mosca e altri che riconoscevano un primato, almeno d’onore, a Costantinopoli.
Nel novembre del 2010 il patriarca Kirill compì una solenne visita a Kiev «invocando la benedizione di Dio per l’Ucraina e il suo santo popolo. Che Dio ci doni la pace, l’amore, la capacità di aiutarci a vicenda e di sostenerci».
Nel 2014 scoppiarono i conflitti nella parte orientale e, nel 2019, ben 7.000 parrocchie ortodosse (più di un terzo) si costituirono in Chiesa autocefala (CAOU), con un loro primate, riconosciuta come tale dai patriarchi di Costantinopoli e di Alessandria: fu la rottura completa con Mosca, anche perché coinvolgeva un territorio che questa considerava di sua competenza canonica. Come risposta, il patriarca russo Kirill con il suo Sinodo tolse la comunione eucaristica ai patriarcati di Costantinopoli e di Alessandria. Rimase fedele a Mosca la Chiesa Ortodossa Ucraina (COU, con 12.000 parrocchie).
La rottura fra il patriarcato di Mosca e altri patriarcati si è fatta ancora più profonda quando, recentemente, Mosca ha deciso di istituire due eparchie in Africa, in territorio storicamente di competenza del patriarcato di Alessandria d’Egitto.
Con la sciagurata invasione ordinata da Putin, dove sono coinvolti sentimento etnico e nazionale, interessi economici e strategici anche a lungo termine, visione politica del mondo, tentativi di ricostruire un passato…, la situazione per l’unità dei cristiani si è aggravata.
È ovvio il senso di frustrazione e di contrarietà delle comunità cattoliche e protestanti; ma la stessa COU è rimasta sorpresa dell’atteggiamento di non contrarietà se non di connivenza del patriarca Kirill al nuovo “zar” del Cremlino.
Alcuni metropoliti della COU hanno cessato di menzionare il loro patriarca nella santa liturgia, segno di forte dissenso se non di aperto scisma.
Varie decine di parroci hanno poi chiesto a Onufry (Onofrio), primate della COU, di convocare un “Concilio locale” per rompere la dipendenza da Mosca. Si sa che, all’interno della stessa Russia, alcuni metropoliti e 350 pope hanno condannato apertamente la guerra e si sono dissociati dalla posizione di Kirill.
Il malcontento verso il patriarca e Putin è più accentuato nelle comunità russe all’estero, iniziando dall’importante parrocchia russo-ortodossa di Amsterdam. Si avvia un distacco da Mosca.
Kirill ha tentato di giustificare l’intervento armato per proteggere i valori cristiani circa la sessualità e il matrimonio, minacciati, egli sostiene, dalla cultura occidentale delle “gay parades”.
Va notato che anche in incontri ecumenici nasce spesso, a questo riguardo, un diverbio: mentre i protestanti vorrebbero che si evitasse ogni discriminazione in base ai comportamenti sessuali, i cattolici fanno distinzione tra libertà civile e atteggiamento religioso ma non negano che possano esserci tendenze (innate o indotte) omofile e, proprio perché tali, non giustificano una discriminazione.
Gli ortodossi, invece, rifiutano queste posizioni, per cui le persone con tendenza omosessuale non hanno altra scelta che “curarsi” o nascondersi e non possono ricevere lo stesso trattamento in campo civile.
Gli ortodossi accusano l’occidente cristiano di sfilacciamento rispetto all’insegnamento della Bibbia.
Altro contrasto c’è con i protestanti circa la promozione della donna al ministero presbiterale ed episcopale.
Una situazione complessa per le gerarchie ecclesiali russe, ma certamente non da affrontare con una guerra! Che poi vengano arruolate milizie di fondamentalisti musulmani dal Medio Oriente è certamente ancora più contraddittorio. Il Vangelo propone pace e fraternità, non stermini.
Chiesa cattolica in Ucraina
I dati statistici della Chiesa cattolica in Ucraina del 2019 (che comprendono anche la Crimea, ma si limitano a un totale di popolazione di 42 milioni, come si pensava prima del censimento) indicano 5.845.000 fedeli cattolici, distribuiti in 25 diocesi, con un totale di 4.343 parrocchie e circa 500 stazioni pastorali meno organizzate.
In totale i vescovi cattolici sono 46, i presbiteri diocesani 3.408, quelli religiosi 622. I Fratelli religiosi erano 161 e le Consacrate 1.141.
Pur essendosi potuta ricostruire da poco (come accenneremo sotto), la Chiesa cattolica ucraina sostiene 48 scuole materne, 16 elementari e 5 medie-superiori. E non mancano le opere di attenzione alla salute: 16 ospedali, 18 case per anziani, 52 orfanotrofi, una trentina di consultori matrimoniali e altre istituzione di assistenza…
Esistono poi due Caritas, una per le Chiese di rito bizantino e l’altra per le diocesi di rito latino: Caritas Ucraina e Caritas Spes. Fin dall’inizio del conflitto si sono impegnate ad assistere sia gli sfollati interni sia chi decide di espatriare, provvedere cibo e generi di prima necessità, alloggi sia pur provvisori… Esse sono sostenute da molti volontari e da convogli di materiale umanitario che arrivano dall’estero. È molto rilevante il ruolo di coordinamento, anche se la situazione è gravosa e difficile.
Come si accennava, in Ucraina esistono due “riti”. Circa 5 milioni di cittadini fanno parte della Chiesa greco-cattolica di Ucraina, di rito bizantino, cui presiede l’arcivescovo maggiore di Kiev, avendo poi in Ucraina tre metropolie (si direbbe: province ecclesiastiche, in termini latini): Ivano-Frankivsk (con due suffraganee), Leopoli con tre suffraganee, Ternopil-Zboriv (con due suffraganee) e l’esarcato di Doneck-Odessa; vi sono poi eparchie e metropolie negli USA, Canada e Australia. Vorrebbero che il loro arcivescovo maggiore fosse promosso a patriarca, ma la Santa Sede non giudica opportuno, almeno per ora, un tale passo.
A Leopoli vi è un arcivescovo ucraino di rito latino con cinque diocesi suffraganee, per un totale di circa un milione di fedeli; si pensa che essi siano latini perché raggiunti nella loro adesione alla fede cristiana da polacchi e ungheresi. Va aggiunto che fa parte della Chiesa di Ucraina anche la diocesi “rutena” di Mukachevo (con 320.000 cattolici) e che vi sono comunità di armeni cattolici, ma senza un loro vescovo ucraino.
Ecclesialmente parlando, sappiamo che il metropolita di Kiev, Isidoro, partecipò al concilio di Firenze e aderì alla comunione ecclesiale. Rientrato, incontrò l’opposizione di Mosca, che si proclamò autocefala nel 1448 e così l’unica metropolia della Russia (Kiev) veniva spezzata in due; oltre un secolo dopo, Mosca si autodichiarò “patriarcato”.
Nel 1596 il metropolita di Kiev con vari vescovi riconfermarono a Brest (ora in Bielorussia) l’unione con Roma…, ma non tutto si svolse tranquillamente e furono tanti i martiri dell’unione nella parte dell’Ucraina soggetta a Mosca; diversa la situazione in Galizia che faceva parte dell’impero austriaco.
Con l’avvento del comunismo, nel 1917, Mosca cercò di sopprimere la Chiesa ucraina unita al papa, e riuscì a far morire tutti i vescovi… Rimase in vita, in prigione, soltanto il metropolita Josyf Slipyi (1892-1984), che papa s. Giovanni XXIII ottenne di portare a Roma nel febbraio 1963. Lo promosse cardinale, benché egli manifestasse una profonda nostalgia per la sua amata Ucraina. Morì in “esilio”.
Progressivamente, anche per l’azione della Santa Sede e la pressione internazionale, si poté ottenere un successore e un po’ di libertà per i sacerdoti ucraini sopravvissuti, pensare a formarne di nuovi sia pure all’estero, ottenere la nomina dei metropoliti… e, dopo la caduta del comunismo, ristabilire la gerarchia.
La ripresa, resa feconda da tanti martiri, conosciuti e sconosciuti, data dunque da appena trent’anni: una Chiesa di antiche tradizioni, dinamica, generosa! Che tanto ha sofferto e che ora è soggetta a una nuova terribile prova con tutto il popolo ucraino, del quale si sente parte viva, anzi anima e corpo.
La Chiesa greco-cattolica ucraina in Italia
L’emigrazione dall’Ucraina iniziò alla fine del 1800 diretta soprattutto verso l’America del nord (USA e Canada), il Brasile, l’Argentina e l’Australia. Altri fuggirono dopo la rivoluzione del 1917 e quanti poterono sopravvissero alle purghe staliniane. Visse con maggiore libertà con l’avvento della perestrojka.
Nel frattempo, in Europa occidentale era richiesta mano d’opera e, soprattutto, l’assistenza ad anziani e infermi nelle famiglie e nelle case di cura. Fu allora che moltissime donne ucraine giunsero a dare un aiuto, altrimenti non disponibile nella nostra stessa penisola. Queste collaboratrici domestiche, dette comunemente “badanti”, rendono servizi preziosi, con enormi sacrifici da parte loro e delle loro stesse famiglie che hanno lasciato in patria, inviando quanto guadagnano per il loro bene.
Gli ucraini (in realtà, si dovrebbe parlare soprattutto al femminile) registrati in Italia sono 240.000; oltre 20.000 sono studenti. Sono il quarto gruppo per numero dopo Marocco, Albania e Cina (tenendo conto che la Romania fa parte ormai dell’UE e quindi i suoi cittadini risiedono in Italia senza speciali permessi).
È difficile dire quanti ucraini siano presenti e lavorino senza un’adeguata documentazione… Qualcuno dice almeno altrettanti. Ora tutti soffrono per la loro patria e le loro famiglie e ci chiedono vicinanza, preghiera e sostegno. In molte diocesi sono associati nelle iniziative di preghiera e di appoggio alla pace.
Numerose delle nostre “badanti” provengono dalla parte occidentale dell’Ucraina, e quindi molte sono cattoliche.
Per l’assistenza pastorale sono giunti una settantina di sacerdoti di lingua e di rito ucraino, distribuiti su tutto il territorio nazionale e raggruppati in sei “zone pastorali” (come fossero vicariati foranei) con 150 centri pastorali.
Nel 2019 la Conferenza episcopale italiana ha dato il consenso all’istituzione di un’“eparchia” (diocesi personale) e quindi fu formalmente stabilita e confermata dalla Santa Sede per tutta l’Italia, nominando esarca come primo passo il card. Angelo de Donatis, vicario di Roma, e ora il vescovo Paulo Dionisio Lachowicz con sede a Roma (Piazza della Madonna dei Monti, 3). La Santa Sede ha disposto un accurato Direttorio e l’esarca fa parte della CEI, mentre i sacerdoti ucraini, celibi o sposati secondo la propria Chiesa, prestano un aiuto, oltre che ai loro fedeli, anche alle comunità italiane secondo i mandati delle diocesi nostrane.
In queste settimane sono fortemente impegnati e sono un punto di riferimento prezioso per la preghiera e per il coordinamento dell’assistenza ai rifugiati, oltre che mediatori “culturali”.
I sacerdoti ucraini dell’ortodossia in Italia sono pochi e i fedeli partecipano serenamente alla liturgia bizantina cattolica.
Li sentiamo ancora più vicini in questa tragedia inattesa e dolorosa, che semina sgomento e sofferenze e conferma che il ricorso alle armi non fa che provocare disastri. Con loro preghiamo perché si ritorni rapidamente alla ragionevolezza della pace e della riconciliazione.
Preghiera per la pace in Ucraina, ispirata dalla liturgia bizantina
Cristo risorto, stiamo raccolti davanti a te ed eleviamo a te questa ardente preghiera: che il fuoco delle armi cessi nella terra d’Ucraina! Accogli nel tuo amore coloro che muoiono vittime della violenza e della guerra, consola le famiglie in lutto, sostieni coloro che hanno dovuto prendere la strada dell’esodo. Di fronte a una sofferenza incomprensibile, crediamo comunque che le tue parole di amore e di pace non perdono mai valore. Perciò ti imploriamo: donaci la tua pace, Tu che sei la nostra speranza. Amen (un sacerdote ucraino).
- Luigi Bressan, arcivescovo emerito della diocesi di Trento molto impegnata per l’ecumenismo, si è laureato con una tesi sulle Chiese orientali e quindi ha prestato servizio diplomatico alla Santa Sede per 28 anni.