Da Vatican News di Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Dopo l’ingresso delle milizie integraliste a Kabul, già si intravedono le linee dell’annunciato Emirato islamico, mentre gli stranieri e gli afghani che riescono stanno lasciando il Paese. Il padre rogazionista, presidente di “PBK – Pro Bambini di Kabul”: bisogna trovare un canale di dialogo con il nuovo potere, la solidarietà non può fermarsi soprattutto in pandemia.
E’ un vero ‘fuggi-fuggi’ quello che sta avvenendo da ieri all’aeroporto di Kabul. Allo scalo della capitale stanno avvenendo episodi drammatici che testimoniano la disperazione di quanti vogliono lasciare a tutti i costi il Paese. Sui social circolano alcuni video che mostrerebbero la caduta nel vuoto di due persone aggrappate al carrello di un aereo appena partito da Kabul. All’areoporto Fiumicino di Roma è atterrato alle 14.28 l’aereo dell’Aeronautica Militare con 74 persone a bordo rimpatriate. Ma l’esodo dall’Afghanistan di fatto sta avvenendo anche via terra e prima ancora che i talebani entrassero nella città, sede delle istituzioni afghane, soprattutto in direzione di Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan.
Dopo 20 anni di presenza sul terreno delle truppe internazionali, sono dunque bastati pochi giorni ai talebani per tornare a quel potere che hanno avuto in mano sino al 2001, costretti a lasciarlo per non aver voluto collaborare con gli Usa nella cattura di Osama Bin Laden. Ieri l’ingresso dei leader del movimento fondamentalista nel palazzo presidenziale e la partenza del capo dello Stato, Ashraf Ghani, hanno sancito un passaggio di consegne per ora avvenuto in modo incruento, ma il timore che vengano saldati alcuni conti in sospeso è forte. La comunità internazionale è avvertita e sono in corso a tutti i livelli riunioni d’urgenza per impostare i rapporti diplomatici con il nuovo Afghanistan, se questo sarà possibile.
L’improvvisa evoluzione degli eventi che, non va dimenticato, è avvenuta mentre il Paese afghano è alle prese con la pandemia di Covid-19, ha di fatto bloccato tutte le attività sociali e umanitarie che vedono protagoniste organizzazioni e associazioni straniere che operano da anni sul terreno. Una di queste è il ‘Centro diurno PBK – Pro Bambini di Kabul’.
Intervistato da Radio Vaticana – Vatican News il presidente, padre Matteo Sanavio.
ITERVISTA A PADRE MATTEO SANAVIO
Padre Matteo, che ne sarà ora del Centro PBK?
Purtroppo le notizie che ci arrivano dall’Afghanistan e soprattutto da Kabul sono notizie molto negative. La città è nel caos e praticamente si sta procedendo unicamente ai rimpatri, perciò tutte le attività caritative che si stavano svolgendo prima sono momentaneamente sospese.
C’è comunque la speranza di riuscire a riattivare i canali umanitari?
Noi ce lo auguriamo passato questo primo momento di crisi, in cui ci vedono solo le tenebre, speriamo che si apra qualche spiraglio di luce è che possiamo riprendere anche noi per nostre attività che concentravamo sui bambini disabili proprio della città di Kabul.
Concretamente il vostro Centro diurno PBK che attività svolge?
Siamo presenti a Kabul dal 2006, quindi già abbiamo fatto 15 anni di esperienza sul campo. “PBK – Pro bambini di Kabul” è un’associazione che è un unicum nella storia anche della Chiesa. E’ nata nel 2001 dopo l’appello di San Giovanni Paolo II: “Salvate i bambini di Kabul”. Era un appello che lui aveva fatto durante il messaggio di Natale del 2001. Un sacerdote guanelliano, don Giancarlo Pravettoni, raccolse questa esortazione e la comunicò anche a diverse congregazioni religiose. All’epoca furono 14 tra congregazioni maschili e femminili che risposero a questo appello. E si cominciò allora a pensare quale fosse una risposta per i bambini di Kabul immediata e che avesse anche un certo futuro. Perciò si scelse proprio l’obiettivo di raccogliere i bambini più deboli, quindi disabili, e abbiamo nel corso di 15 anni allestito, formato e organizzato una scuola per bambini con disabilità psichica. Normalmente sono minori con sindrome down o con disabilità mentali non troppo importanti, che hanno bisogno di essere inseriti nella scuola normale. Quindi è un istituto di preparazione alle scuole elementari, alle scuole primarie. Ultimamente, dopo un anno molto difficile a causa della pandemia, in cui la nostra scuola è stata aperta e chiusa più volte, siamo riusciti proprio un paio di settimane fa a riaprire. Purtroppo c’è stata escalation che ci ha costretto di nuovo a chiudere i battenti e a ripensare il nostro servizio. Noi speriamo che fra qualche mese si possa ritornare, però le cose non sono rosee, diciamo.
Alla luce della precedente gestione dello Stato afghano da parte dei talebani, lei considera la vostra attività a rischio?
Adesso dovremo cercare di vedere i talebani come si propongono, come si rapportano, come entrano in contatto con queste associazioni. Pare che abbiano detto di non volere bloccare le attività educative e sociali. Però dialogare con queste persone penso che, ora come ora, sia abbastanza complesso e difficile.