Tossicodipendenze Conferenza nazionale, occasione persa

Centro Trentino di Solidarietà  

dal’Adige, 29 dicembre 2021

Dodici anni. Sono passati ben dodici anni dall’ultima Conferenza sulle dipendenze di Trieste. In base alla Legge 309/90 ogni tre anni si sarebbe dovuta svolgere una conferenza di aggiornamento. Abbiamo aspettato tanto. Il 27-28 novembre ha avuto luogo a Genova la tanto attesa Conferenza nazionale. Avrebbe dovuto essere un momento di confronto tra gli operatori dei servizi pubblici e del privato sociale accreditato  (segue dalla prima pagina) È stata invece un’ occasione perduta perché il tema delle dipendenze comportamentali, le cosiddette “dipendenze senza sostanza”, non è stato minimamente toccato.

Scopo della conferenza era permettere agli operatori del settore, rimasti inascoltati per tanto tempo, di confrontarsi con i rappresentanti del governo e con la società civile per costruire insieme i presupposti di una nuova legge al passo con l’ evoluzione del fenomeno.

L’ Assemblea di Genova, tuttavia, ha trascurato le proposte e le riflessioni emerse nei tavoli di lavoro durante la fase preparatoria e ha preferito dare spazio a elementi secondari, indirizzando il dibattito sul tema della legalizzazione della cannabis.

Ma parlare della cannabis terapeutica in una conferenza sulle dipendenze è fuorviante.

Anzi, è un vero cavallo di Troia, perché introduce in modo tacito la normalizzazione dell’ uso di sostanze.

La cannabis terapeutica non c’ entra nulla col problema reale. Il vero problema è un sistema di servizi incapace di trovare una nuova veste territoriale e integrata adeguata alle esigenze dei cittadini.

Chi opera in questo campo sa che ogni forma di dipendenza patologica, con o senza uso di sostanze, è un fenomeno grave.

La dipendenza patologica è una malattia della relazione. L’ uso di sostanze o i comportamenti parossistici e maniacali tipici delle dipendenze comportamentali sono una risposta sbagliata a bisogni autentici.

La vita in comunità è un’ esperienza di relazione nuova, pulita ed essenziale per affrontare il tema della dipendenza patologica. Perché se questa è una malattia della relazione, si cura con e nella relazione.

Il percorso residenziale in comunità, inoltre, è un tassello di un percorso più articolato e profondamente integrato con il territorio. Nel tempo, infatti, le comunità si sono evolute. Non sono più realtà isolate.

Non sono più enti ausiliari ma un privato sociale che svolge una funzione pubblica. In questo senso, la ricchezza delle comunità terapeutiche italiane è unica a livello europeo. Questa ricchezza a Genova è stata ignorata.

Il mondo delle comunità propone un modello di cura integrale della persona. Per questo chiede che la legge 309/90 venga modificata mettendo al centro della cura la persona e non il luogo di cura o la sostanza.

Abbiamo perso la battaglia contro la sostanza molti anni fa. Oggi, con centinaia di nuove sostanze illegali censite ogni anno, tentare di portarla avanti è inutile e controproducente.

A noi, che lavoriamo nelle comunità, non interessa la questione della sostanza ma la persona. Sappiamo che solo l’ impegno a favore della persona e delle sue relazioni, invece che contro la dipendenza, può dare risultati concreti. Per questo motivo riteniamo che ci sia bisogno di un sistema fondato sulla presa in carico territoriale della persona, con strumenti che prevedano una pari dignità tra servizi pubblici e privato sociale. E questa presa in carico deve essere molto precoce, perché sempre più ragazzini cadono in sistemi pericolosissimi di dipendenza, e continuativa, perché il reinserimento lavorativo e sociale è parte integrante del percorso.

Ben venga la riduzione del danno, se considerata un mezzo e non un fine. Nata come mezzo per avvicinare quei ragazzi che non si rivolgevano spontaneamente ai servizi, può essere uno strumento utile, ma non può diventare l’ orizzonte ultimo del nostro agire. Non possiamo abbassare continuamente l’ asticella dei nostri interventi. Non possiamo ignorare il desiderio di felicità, di benessere e di serenità di chi ci chiede aiuto. Dobbiamo invece puntare sulle aspirazioni ideali che muovono le persone e riconoscere loro il diritto di avere un futuro migliore del presente.

Negli ultimi decenni sono stati fatti degli importanti passi avanti nel campo delle neuroscienze, ma a Genova non se n’ è parlato. Non ci si è confrontati su tanti temi che invece meritano di essere affrontati con serietà e onestà. Si parla spesso di percorsi brevi, per esempio, passando per gran innovatori, ma dimenticando che il cambiamento ha bisogno di tempo.

Affrettarsi a mettere da parte la comunità terapeutica potrebbe essere deleterio.

La comunità terapeutica è un luogo in cui si fa psicoterapia, è un luogo in cui ci trovare il tempo necessario per chiederci chi siamo e dove vogliamo andare.

Abbiamo bisogno di tempi e spazi come questo, per non preoccuparci solo del malessere, ma per occuparci soprattutto del benessere. Dobbiamo generare idee e azioni a loro volta generatrici di benessere.

Dobbiamo educare i nostri giovani a coltivare la propria spiritualità intesa come ricerca del senso della vita. Partiamo dai valori importanti della vita. Torniamo ad essere educatori di tutti perché i giovani ci guardano e ci imitano.

Antonio Simula.

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