S.Apollinare con l’antico borgo di Piedicastello sorge ai piedi di un monticciolo dalla forma rotondeggiante, oggi chiamato Doss Trento (Colle o Dosso di Trento) ma denominato in epoca romana Verruca. Tracce di antiche culture umane rintracciabili sia sulla sommità che ai suoi piedi attestano che il luogo fu abitato fin dall’epoca preistorica.
La conquista romana favorì il confluire della popolazione e il conseguente insediamento urbano sulla riva sinistra dell’Adige, là dove il fiume, con una larga ansa (oggi scomparsa per interventi di rettifica dell’alveo), limitava e proteggeva una piana, attraversata dalla Via Claudia Augusta Padana.
E’ nel periodo delle invasioni barbariche che il Verruca e l’abitato circostante riappaiono nella storia della città: sottomessa dai Goti di Teodorico (che regnava da Ravenna), ma anche minacciata da sempre possibili invasioni provenienti da Nord, non è strano che in quei frangenti la popolazione cittadina potesse cercare saltuariamente rifugio nei pressi del Verruca o sulla sua sommità fortificata (castrum, da cui più tardi castello).
Il che è storicamente attestato da una famosa lettera di Cassiodoro (uomo politico e letterato, al servizio di Teodorico) inviata alla cittadinanza a nome del re:
“…Abbiamo dato disposizione a Leodefrido, il nostro funzionario locale, affinchè sotto il suo controllo costruiate delle abitazioni nella fortezza Verruca, la quale trae appropriatamente il nome dalla sua posizione. … E’ un bastione che non richiede difesa e non teme assedio, dove né chi attacca può osare nè chi vi è rinchiuso deve temere alcunchè. Lo lambisce l’Adige, nobile tra i fiumi, con la piacevole purezza dei suoi flutti, che gli offre sicurezza e decoro. Si tratta di una fortezza quasi unica al mondo, che tiene le chiavi della provincia, e che a ragione è considerata importantissima, giacchè è evidentemente posta a contrastare le genti barbare. Chi non desidererebbe abitare questo invidiabile bastione, che offre una sicurezza straordinaria, e che perfino ai forestieri piace visitare?” (Cassiodoro. Variae III, 48.1-4).
Reale o meno che fosse l’esigenza di cercare rifugio, è in quest’epoca che sulla sommità del Verruca viene edificata una chiesa di discrete proporzioni, non sappiamo se a titolo di “santuario” o per quale altra ragione. I resti di tale costruzione (una delle più rappresentative per quanto concerne la forma delle chiese paleocristiane dell’area alpina), furono posti in luce nel secolo passato e attestano la sua esistenza già a metà del VI° secolo, grazie a un’ iscrizione in mosaico che nomina il vescovo del tempo, Eugipio, e informa contemporaneamente sulla dedicazione di una parte annessa ai santi martiri siriani Cosma e Damiano (titolo, questo, che la cultura dell’impero bizantino contribuì a diffondere soprattutto nell’Italia meridionale).
Più o meno nella stessa epoca, tra il Verruca e il fiume, fu innalzata un’alta recinzione in pietra, una specie di un antemurale, che permetteva alla popolazione stanziata al suo interno di soggiornare con una certa sicurezza e comodità, sia per lo spazio, sia per la vicinanza della campagna coltivabile e la presenza di acqua potabile.
Quel muro di protezione, impropriamente detto “muro romano”, fu realizzato con materiale di reimpiego sottratto ad altri edifici o costruzioni più antiche e comprendeva lapidi con iscrizioni, pietre decorate a rilievo (non poche delle quali certamente di epoca romana). Resti di tale opera sono emersi ormai in svariate occasioni (sia nella zona di via Doss Trento in prossimità della chiesa, sia sotto l’attuale livello dell’attiguo campo sportivo, come pure nelle fondamenta della parte absidale della chiesa stessa).
A ridosso di tale muro, nella sua parte interna, vide la luce quel primitivo luogo di culto che è all’origine dell’attuale chiesa di S.Apollinare.
Apollinare: chi era?
Sant’Apollinare, originario di Antiochia, sarebbe vissuto nel 2° o 3° secolo della nostra era. Per primo avrebbe svolto il ministero di evangelizzatore e di vescovo nella città imperiale di Ravenna (la tradizione leggendaria riferisce che avrebbe avuto tale incarico dallo stesso apostolo San Pietro, di cui sarebbe stato discepolo). Si dedicò all’opera di evangelizzazione dell’Emilia-Romagna, subendo non poche persecuzioni e vessazioni, tanto da essere venerato dalla tradizione come martire. Le basiliche di S.Apollinare vecchio (oggi non più esistente), Sant’Apollinare Nuovo (già dedicata a san Martino, fatta edificare da Teodorico re dei Goti), e infine S.Apollinare in Classe (costruita successivamente dai cattolici), sono luoghi privilegiati nel tramandare la memoria di questo santo Pastore. Il suo culto si diffuse rapidamente anche oltre i confini cittadini. I pontefici Simmaco (498-514) ed Onorio I (625-638) ne favorirono la diffusione anche a Roma, mentre il re franco Clodoveo gli dedicò una chiesa presso Digione. In Germania probabilmente si diffuse ad opera dei monasteri benedettini, camaldolesi e avellani (legati per matrice originaria alla regione circostante Ravenna). Sant’Apollinare è considerato patrono della città di cui per primo fu pastore, nonché dell’intera regione Emilia-Romagna. La sua Festa, ricorrente in passato al 23 luglio, nell’ultima riforma del calendario cattolico è stata anticipata al giorno 20 dello stesso mese.
Perchè un santo di Ravenna a Trento?
Se nella chiesa paleocristiana del Doss Trento s’incontrano i nomi di Cosma e Damiano non dovrebbe apparire troppo strano che un altro luogo di culto, più o meno contemporaneo e dalle dimensioni più contenute, rechi il nome di un santo il cui luogo di culto è Ravenna. Ma perché non quello di Vigilio, o di Lorenzo, o dei martiri d’Anaunia, il cui ricordo doveva essere comunque vivo?
Come s’è detto, a Ravenna la memoria di S.Apollinare era viva fin dai primi secoli, grazie anche alle splendide basiliche innalzate in suo onore e tutt’oggi esistenti. La prima di queste, più antica, fu fatta edificare da Teodorico, il re dei Goti che, unitamente al suo popolo, era di fede ariana.
Non sarà superfluo, anche ai fini di questa carellata storica, specificare il senso di questo termine. L’Arianesimo era una forma di Cristianesimo iniziata e propagandata nel IV° secolo da Ario (prete/teologo di Alessandria d’Egitto) e che vari Concilii della Chiesa dichiararono eretica. Secondo la dottrina ariana il Cristo nella sua natura non è “della stessa sostanza” del Padre; certo è superiore agli altri uomini, ma per grazia, non per natura propria. In ogni caso non è Dio come il Padre. Ario morì scomunicato ed esiliato, ma la sua dottrina, anche per il fatto di legittimare la sottomissione della Chiesa allo Stato, trovò ampi consensi soprattutto tra le popolazioni germaniche convertite al cristianesimo, come appunto i Goti, i Vandali, i Visigoti e i Longobardi.
Teodorico, re dei Goti, calato in Italia e stabilita la sua sede a Ravenna, decise di porre fine alle lotte religiose tra cristiani cattolici e cristiani ariani, favorendo una convivenza che rispettasse sì le differenze, ma all’insegna di una tolleranza reciproca. La Chiesa di S.Apollinare Nuovo era perciò riservata agli Ariani; i Cattolici avevano già a disposizione S.Apollinare Vecchio e, allorchè questa si rivelò fatiscente, sorse per loro la splendida basilica di S.Apollinare in Classe.
Ma torniamo a Trento.
Nulla di troppo strano, a questo punto, che in una città appartenente alla giurisdizione di Teodorico e popolata anche da una componente, se pur minoritaria, di Goti (operanti come guarnigione di controllo e di difesa in una regione prossima al confine) si manifestasse la necessità di un luogo di culto a loro riservato, dal momento che la diversa appartenenza religiosa non consentiva ad essi e alle loro famiglie l’accesso alla chiesa dei cattolici (fosse quella del Verruca o quella cittadina). L’edificio, limitato quanto a dimensioni, ovviamente non poteva che sorgere ai piedi del Doss Trento, all’interno di quel muraglione che forse le guarnigioni di Teodorico conoscevano per esservisi stanziate a guardia e difesa.
A questo riguardo, le ricerche archeologiche hanno portato in luce resti di costruzioni appartenenti ad almeno due livelli diversi, ambedue addossate o accostate al muraglione di cui si è detto (e sui cui resti poggia la parete di fondo dell’attuale chiesa). Della prima costruzione, sottostante la zona a destra dell’altare attuale, furono rinvenute tracce d’incendio: resti carbonizzati attestano un edificio dalla copertura in legno, del quale tuttavia non è dato precisare a quale uso (se sacro o profano) potesse essere destinato.
Il successivo livello constava invece di un ambiente di forma rettangolare interamente intonacato sia nelle pareti (delle quali è rimasto ben poco) sia nel pavimento (parte sottostante l’altare e parte a sinistra di esso). La soglia di d’ingresso (e d’uscita) è posta a Sud-Ovest, un po’ più elevata rispetto al livello interno, per cui per entrare (o per uscire) era necessario (ma si tratta d’una necessità più simbolica che reale) servirsi d’un gradino. Proprio di fronte a quel gradino (sul lato Nord-Ovest della piccola aula) è venuto alla luce un manufatto di notevole interesse: un foro rotondo nel pavimento, ornato da una cornice d’intonaco, da cui si diparte un foro che scende obliquo (destinato quindi non ad attingere l’acqua ma a farla defluire). Accanto, i resti d’una piccola abside semicircolare, che potrebbe richiamare l’immagine d’una sede, riservata a una qualche presidenza liturgica.
Dirimpetto, adiacenti al lato Sud-Est di questa piccola aula rettangolare sono apparsi i resti di un antico pozzo, utilizzato per attingere acqua dalla falda sottostante.
L’ipotesi avanzata (pur con tutte le c autele necessarie in questi casi) è che si tratti di un antico fonte battesimale. Ma Ariano, probabilmente. Essa è avvalorata dal fatto non casuale che il piccolo complesso è dislocato sul lato Occidentale, anziché su quello Orientale. Ora, è risaputo che la contrapposizione tra Cattolici e Ariani caratterizzava anche la simbologia della dislocazione degli spazi sacri: mentre la direzione dell’Oriente nei riti Battesimali era tipica del Cattolicesimo (Oriente, infatti, è sinonimo di sole che sorge e, pertanto, di nuovo inizio in un crescendo di luce), l’Arianesimo invece privilegiava il simbolismo dell’Occidente (che, con il richiamo al tramonto, legittimava l’interpretazione teologica secondo cui Gesù sarebbe divenuto per adozione figlio di Dio sul finire della sua esistenza terrena, al momento del Battesimo nel fiume Giordano). Che il tutto poi sia collegato al culto e al nome di S.Apollinare, in una costruzione che non avrebbe molta ragion d’essere a breve distanza da un’altra più ampia e solenne (quale era la chiesa matrice cittadina, situata là ove sorge oggi S.Maria Maggiore, oppure quella edificata sul Doss Trento di cui già s’è detto, offre un ulteriore riferimento di accredito a questa ipotesi.
Questo piccolo edificio, che chiameremmo volentieri “Battistero”, era collegato con un altro di forma trapezoidale che lo precedeva di poco sul versante Sud-Est e occupava in parte l’area corrispondente allo spazio della prima attuale campata. Si trattava di una chiesetta? Era questo il luogo al quale i neo-battezzati “salivano” (da Occidente verso Oriente, secondo l’uso ariano) per partecipare all’Eucaristia? Invoglierebbe a pensarlo un reperto assai prezioso: una capsella (piccola scatoletta) d’argento recante in rilievo l’effigie di s.Apollinare e contenente probabilmente all’origine qualche reliquia del santo. Fu trovata all’interno dell’altare medievale (l’attuale altare della Chiesa) durante lavori eseguiti nel 18° secolo (oggi la si conserva al Museo presso il Castello del Buonconsiglio). A detta degli esperti, questo prezioso manufatto risalirebbe all’VIII° o VII° secolo, se non prima. Non è fuori luogo ipotizzare che la sua prima collocazione fosse nell’altare della piccola chiesa degli ariani, accanto a quel sobrio Battistero, là a ridosso delle mura.
A conferma dell’origine fin qui ipotizzata (oltre al titolo di S.Apollinare, di cui è difficile negare il nesso con la Ravenna ariana di Teodorico) si hanno unicamente i resti messi in luce dal recente scavo archeologico; mancando tuttavia di documentazione storica scritta e di datazioni precise, tali dati – lungi dall’avere il monopolio dell’interpretazione – sono suscettibili di ulteriore studio e approfondimento.
E’ anche ovvio supporre, tuttavia, che il primitivo edificio sacro – quale che fosse la sua forma – abbia subito nei secoli dell’alto Medioevo interventi non solo di restauro ma di ampliamento e di adattamento a nuove esigenze pastorali, se il primo documento datato che ne tratterà (la bolla di Papa Lucio III° dell’11 aprile 1183) parlerà espressamente della Ecclesia S.Apollinaris cum capellis suis et pertinentiis (la chiesa di S.Apollinare con le proprietà e le cappelle che da essa dipendono)
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