Omelia Solennità dell’Ascensione
Ospedale Santa Chiara, 24 maggio 2020
Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Sono le parole di un antico inno pasquale, ma sono anche la drammatica descrizione di quanto, in questi mesi, si è consumato nei nostri ospedali.
Non ho nessun problema a riconoscere che, dentro queste mura, voi operatori sanitari avete celebrato la Pasqua per tutti noi. Cristo è Risorto nella vostra straordinaria dedizione, nella gratuità e generosità del vostro spendervi senza riserve, nel vostro rischiare la vita fino a morire per noi. Tra di loro, non posso non ricordare, in questo momento, la dottoressa Gaetana.
“Riceverete lo Spirito Santo e mi sarete testimoni fino ai confini della terra” (At 1,8).
In voi, trovo realizzate queste parole che rivelano il senso profondo dell’Ascensione del Signore: l’esplosione della fiducia di Dio nella possibilità affidata agli uomini, grazie al dono dello Spirito Santo, di “fare le sue opere e di farne di più grandi”.
Cari operatori sanitari, siete il documento, la prova provata che non possiamo vivere senza gli altri; l’altro non è la tua morte ma la tua vita, quando viene a mancare diventi più povero.
Il Salmo, parlando dell’uomo, afferma: “Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato” (Sal 8,6).
Con il vostro operare, avete mostrato quanto sono vere queste parole. È un inno all’umano ciò che abbiamo visto fare da voi. Una meravigliosa conferma alla lucidità delle parole evangeliche che ravvisano nel servire, nel dare la vita, nello spendersi, l’habitat dentro il quale trovare il senso profondo del nostro esistere. In questa linea si muovono anche le parole della Prima lettera di Giovanni: “Siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli”. (1Gv 3, 14)
Siete stati definiti eroi; più di uno di voi, giustamente, non ha gradito la definizione. Il termine fa riferimento al gesto straordinario una tantum. Ben altro è quanto abbiamo potuto constatare in voi. È venuto alla luce qualcosa di molto più grande: all’interno delle strutture sanitarie e assistenziali, abbiamo un formidabile patrimonio esistenziale, fatto di uomini e di donne che considerano assolutamente normale: prendersi cura, farsi prossimo, mettere a disposizione se stessi senza clamori.
Questo è semplicemente Vangelo vivo.
In questo momento, dobbiamo dirvi grazie, a nome di tutta la comunità trentina, per la tenerezza e la delicatezza con cui avete accompagnato gli ultimi istanti dei nostri cari che sono morti, senza poter contare sulla vicinanza dei propri familiari.
La vostra, cari operatori sanitari, è stata una straordinaria dimostrazione della forza che abita nella tenerezza e una salutare provocazione a frequentare di nuovo i gesti della prossimità in cui abita la vita. È travolgente l’energia presente in una carezza, in uno sguardo.
Personalmente ho una grande paura: che possiamo dimenticarci della vostra straordinaria lezione d’amore. Tornare alla barbarie di un ritmo vita scandito da fitte agende di impegni, dove non c’è alcun spazio per le relazioni e l’incontro. Pensare nuovamente che impegnarsi per gli altri, vivere la dinamica dell’amare sia un optional e una seccatura, un ostacolo allo sviluppo economico.
In una parola, c’è il rischio concreto di tornare ad abdicare all’umano.
+ arcivescovo Lauro