Omelia Messa del Crisma

(14 aprile 2022 – cattedrale di Trento)

Se incontrassi una Chiesa senza ombre, senza difetti e senza graffi, povera, ricolma di umiltà e della santità di tutti i suoi membri, comincerei a recitare un esorcismo perché certamente mi troverei davanti a un trucco infernale”. Sono le parole provocatorie del teologo ceco Halìk perseguitato dal regime comunista e successivamente tra i consiglieri più stretti del presidente Vaclav Havel.

Come non concordare con lui, visto che Dio, senza alcun imbarazzo, ha scelto di piantare il seme della sua Parola nella nostra umanità perennemente accidentata. Con questa terra impura e disordinata, ha plasmato la sua Chiesa.

La divinità del Figlio è nascosta nella croce e la divinità del Padre è celata nell’oscuro silenzio del Venerdì Santo. Allo stesso modo l’autenticità della Chiesa sarà nascosta, fino alla soglia dell’eternità, nell’ambiguità della nostra umanità; ci sarà sempre una Chiesa umana e a volte disumana. Ci sarà sempre una Chiesa ferita e che ferisce.

Tornare al reale è la grande urgenza di quest’ora della storia. I fatti sottomessi alle parole spesso diventano chiacchera, opinione, ipotesi, sensazione. Anche la Chiesa conosce il rischio di diventare mormorazione, idea astratta, dibattito, stantia ripetizione di riti e parole evanescenti. Da questa deriva nemmeno noi presbiteri siamo immuni.

Il ritorno alla concretezza della vita con le sue immancabili luci e ombre credo sia il dono da invocare in questo giorno in cui facciamo memoria del nostro ministero presbiterale. Negli inizi della nostra scelta vocazionale non ci sono state idee e parole, ma il volto concreto di comunità e persone che ci hanno testimoniato di essere state sedotte non da teorie, ma da un Volto che le ha portate a farsi prossimo, a servire, a donare sé stessi.

È la bellezza di questi volti la fonte generativa del nostro ministero presbiterale.

La nostra Chiesa è oggi la sinagoga di Nazareth, in cui il Maestro rimette in libertà gli oppressi, soccorre i poveri, dà la vista ai ciechi.

Sta a noi scegliere se accogliere la meraviglia di Dio oppure, come i compaesani di Gesù, non riconoscere il Maestro e impedirgli, a causa della nostra incredulità, di dar vita al suo oggi di salvezza.

In questi mesi ho visitato molte piccole comunità della nostra diocesi incontrando tante persone, compresi diversi giovani, che con la loro vitalità mi hanno fatto toccare con mano l’azione sorprendente dello Spirito. In questa direzione annoto con commozione la grande disponibilità vostra e delle comunità a voi affidate nell’ospitare i fratelli e le sorelle ucraini. Ad oggi avete aperto le porte di ben 25 canoniche, con oltre cento profughi accolti, senza dimenticare tante altre iniziative di solidarietà.

Tra poco invocheremo lo Spirito sugli olii dei catecumeni, degli infermi e sul crisma. Ognuno di questi olii suscita un grazie e una provocazione.

Grazie per i dieci catecumeni che nella Veglia pasquale riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana. I loro volti ci interrogano circa il nostro vivere comunitario: abbiamo l’altissima responsabilità di non deludere le loro attese.

Un grazie davvero grande lo dobbiamo ai sacerdoti morti nel corso di quest’anno, da loro ho ricevuto una bellissima lezione di fede e di serenità. Essi sono una salutare provocazione a coltivare, grazie alla Parola di Dio, un rapporto intenso con il Signore della vita.

Grazie per i ragazzi e gli adolescenti che incontro in occasione delle Cresime e con i quali recentemente ho avuto in più occasioni la possibilità di confrontarmi apprezzandone la voglia di vivere, le domande, gli interrogativi. Non sono un “problema”, ma il tesoro prezioso della nostra società. Evitiamo giudizi frettolosi e stroncanti e torniamo a parlare con loro.

Grazie per Matteo che ordineremo presbitero nel mese di giugno. La sua esuberante e giovane disponibilità a mettersi a servizio del Regno diventi stimolo a vivere con gioia il ministero e ad avere una particolare attenzione alla dimensione vocazionale, offrendo vicinanza e collaborazione alla comunità vocazionale e al Seminario.

Con rinnovata speranza, andiamo in cerca dei segni del Risorto presenti nel nostro presbiterio e nelle nostre comunità.

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