Omelia Quarta domenica di Quaresima
(Messa celebrata a porte chiuse e trasmessa in streaming)
cattedrale di Trento, 22 marzo 2020
Anche oggi non servono sofisticati ragionamenti per identificarci con il protagonista del Vangelo: in questa domenica, un mendicante, cieco fin dalla nascita. L’ora che stiamo attraversando è segnata dal completo annebbiamento della vista; sotto il peso degli avvenimenti di questi giorni, ansiosamente mendichiamo il senso del dramma che ci avvolge.
Come il cieco seduto sul ciglio della strada a chiedere l’elemosina, anche noi siamo presi dallo sconforto e dalla tristezza di fronte a questa tragica situazione. Proviamo ad arrivare a sera, mentre le ore delle nostre giornate si susseguono tutte uguali, interrotte solamente dalle notizie sull’aumento delle morti, la conta dei contagi e il numero, sempre troppo esiguo, delle guarigioni.
In punta di piedi, di fronte a tanto dolore, vi invito a soffermarvi, ancora una volta, sul Viandante di Nazareth: pur non richiesto, egli impasta del fango con polvere e saliva, lo stende sugli occhi del cieco e gli restituisce la possibilità di vedere. Fango e saliva ci raccontano Dio che si “sporca le mani” con l’uomo e un uomo che, a sua volta, ha la possibilità di “toccare” Dio.
A tutti, colui che è conosciuto come il Falegname di Nazareth, pone la domanda: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Come il cieco, probabilmente anche noi rispondiamo: “Chi è, Signore, perché io creda in lui?”.
Dobbiamo riconoscerlo: più che con il Dio di Gesù, abbiamo dimestichezza con il Dio dei farisei. Un Dio imbarazzante, schiavo di osservanze e dettagli, che alla guarigione dei suoi figli antepone il minuzioso rispetto del sabato. No, non è questo il nostro Dio. Il Figlio dell’uomo, bellissimo nome con cui Gesù si presenta, è tutt’altro. Conosce le lacrime, la paura e l’angoscia, frequenta le stanze del dolore e della sofferenza, si ferma per sollevare e guarire, rinuncia ad ogni forma di violenza e di arroganza, domanda compagnia e vicinanza, si commuove davanti alla morte e al dolore di una vedova, raggiunge due viandanti senza speranza e ne raccoglie la delusione e la tristezza.
In questa nostra dolorosa notte, abbiamo bisogno di questo Dio. Non dobbiamo temere di consegnargli la nostra tristezza e frustrazione, come pure il nostro grido di protesta. Per farlo possiamo usare senza esitazione le parole del profeta: “Fino a quando implorerò e non ascolti?” (Ab 1,2); o quelle ancora più forti di Geremia: “Tu, o Dio, sei diventato per me un torrente dalle acque incostanti” (Ger 15,18). Ad ascoltare il nostro grido c’è il Figlio dell’uomo, pronto ad accogliere affanno e lacrime. Un Dio dalla nostra parte, Lui, uomo dei dolori che ben conosce il patire.
Incredibilmente, questa prova immane diventi l’occasione per credere nel Figlio dell’uomo, per modificare anche per il futuro il nostro sguardo su Dio. Potremmo costruire così una Chiesa più semplice, più vera, compagna e amica degli uomini e delle donne che conoscono la fatica di vivere.
Donaci, Spirito Santo, di guardare la tragica realtà che ci circonda con gli occhi del cieco, liberi da pregiudizi, per riconoscere che stanno avvenendo autentici miracoli di vicinanza, di solidarietà, di prossimità e accoglienza che ci permettono di guardare con speranza al domani. Non impediamo a questi segni di vita di sorprenderci.
+ arcivescovo Lauro