Benedetto da Trento

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Una figura patetica,
o un don Chisciotte ante litteram?

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Certo è che Benedetto, eletto Abate dai pochi suoi monaci rimasti, rifiutò di accettare la decisione del vescovo Alessandro di Masovia, anche  quando essa fu ratificata dal papa. Martino V°, sorpreso da questa ribellione riconfermò la soppressione del monastero di S.Apollinare in data 29 novembre 1427.

Ma Benedetto da Trento non si fece intimorire ed impedì al Preposito Sob­now di entrare in possesso dei beni che pure vescovo e papa gli avevano assegnato.

Allora il papa, quanto mai deciso a porre fine alla questione, ordinò agli abati di S.Zeno a Vero­na e di S.Maria a Gries di proteggere il Preposito Sobnow da chi gli precludeva l’accesso ai suoi diritti; ciononostante, l’esecutore apostolico, vista l’irriducibilità di fra Benedetto, risolse di sco­municarlo. Era il 26 gennaio 1433.

Il nostro abate fu così costretto per motivi di sicurezza per­sonale a lasciare Trento e a rifugiarsi, con tutto ciò che di prezioso dal mona­stero era riuscito a portare con sè, a Malè dove per un certo periodo svolse il ministero di Pievano.

Nel frattempo ricorreva a Roma, proclamandosi conse­gnatario e, dunque, legittimo possessore dei beni dell’abbazia di S.Apollinare, fino a che la controversia non fosse stata decisa a suo favore.

L’8 febbraio 1434 finalmente una  bolla papale gli dava ragione. Ma la vera motivazione di quella bolla non stava nelle vere o fasulle ragioni di Benedetto, quanto nel fatto che dense nubi si andavano addensando sulla Chiesa e preoccupanti turbolenze la scuotevano al suo interno. E’ un’epoca di Papi e di anti-Papi. A Basilea era stato convocato un Concilio che minacciava di equiparare la sua autorità a  quella del papa, se non di superarla addirittura.

Naturalmente il vescovo di Trento e il Preposito Stanislao Sobnow ricorsero subito a quel Concilio,  contro la decisione del Papa. E il Concilio diede ragione a loro e torto a Benedetto.

Ma il papa tuonò da Roma la giusta ragione di Benedetto, condannando il vescovo Alessandro di Masovia e il suo tirapiedi al pagamento delle spese processuali.

Non solo. Il nuovo papa Eugenio IV°, essendo morto nel frattempo Alessandro di Masovia, nominò vescovo di Trento proprio l’abate Benedetto, contrapponendolo a Teobaldo di Wolkenstein, che il Concilio di Basilea aveva nominato a sua volta vescovo di Trento senza consultare il papa.

Dopo varie vicende, nel 1446 i due contendenti rinunciavano al vescovado, che finì poi con l’essere retto da Giorgio Hack, beniamino dei Duchi d’Austria.

Il papa confermando la nomina ordinava che a Benedetto venis­se restituito quanto il suo predecessore gli aveva tolto.

Senonchè la vita non era così semplice per il povero Benedetto: morto infatti nel 1449 l’odiato Stanislao Sobnow, il vescovo Giorgio Hack nominava come Preposito il viennese Ainemaro,  e imponeva a Benedetto da Trento di consegnare a questi i beni dell’abbazia. Una mazzata del genere avrebbe convinto chiunque a desistere dai propri propositi. Chiunque, ma non Benedetto, il quale – se pure invecchiato – manteneva intatta la propria vigoria combattiva.

Egli, infatti, ricorse di nuovo al papa denunciando alla Santa Sede il vescovo stesso come usurpatore dei beni del monastero. Il pontefice, che vedeva in Benedetto un baluardo contro la forza del partito ecclesiastico tedesco, prese il caparbio Abate sotto la sua diretta protezione e aumentò addirittura le proprietà dell’Abbazia con i beni dei Conventi soppressi di S.Anna di Sopramonte e di S.Margherita in Sorbano a Trento (di quest’ultimo al presente è rimasta la chiesa, sita in via Rosmini, di fronte a S.Maria Maggiore).

Ma morto un papa se ne fa un altro:in questo caso però il suc­cessore, Callisto III°, revocò le concessioni fatte a Benedetto dal suo predecessore e, ridando vigore alla bolla di Martino V° del 1426, sopprimeva di nuovo l’abbazia e, essendo morto nel frattempo Ainemaro, il Preposito viennese,  nominava al suo posto Giovanni Hinderbach (allora canonico di Passavia e futuro vescovo di Trento). Ma Benedetto non cedette, nemmeno quando fu il papa Pio II° (Enea Silvio Piccolomini) ad intimargli di consegnare l’abbazia ed i suoi beni allo Hinderbach, dietro promessa di un congruo vitalizio, e minacciandogli la sospensione dal sacro ministero qualora non si fosse deciso ad osservare perpetuum silentium. No, Benedetto continuò ad amministrare quei beni, come aveva sempre fatto.

E’ da ritenere che solo dopo la sua morte la vicenda si sia definitivamente conclusa, ma ciò forse non avvenne prima del 1468, anno in cui il papa trasferiva in perpetuo il diritto di conferimento della Prepositura di S.Apollinare ai Conti del Tirolo e a i loro successori.

Così si chiudeva un annoso dissidio che, ci sembra, riservi un giudizio meno spregevole all’abate Benedetto che non ai suoi interessati sostenitori o detrattori.

Le sue spoglie forse furono deposte nell’arca di pietra rossa incastonata nella facciata della chiesa di S.Apollinare, sotto l’arco che custodiva l’immagine della Madonna di Piedicastello. 

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