Natale di speranza

“Tirati su la mascherina!”

“Non puoi prestare la tua matita al tuo compagno. Vieni qui alla cattedra ad igienizzarla con la salvietta se proprio devi dargliela!”
“Se non hai portato il libro di testo devi arrangiarti, perché non puoi avvicinare il tuo banco a quello di qualcun altro…”
“Prof, allora posso mettere per terra il mio libro in mezzo ai due banchi, così possiamo condividerlo?”
“Prof, dopo posso inviare la foto degli esercizi al mio amico a casa, così li può fare anche lui?”
“Forza, ragazzi, prima di scendere per l’intervallo igienizzatevi le mani!”
“Finito l’esercizio, voi quattro a casa, disconnettetevi. Ehi, salutate i vostri compagni in quarantena, ciao ciaoooo! A presto!”

Ecco, queste sono solo alcune delle tante complicate situazioni che si creano a scuola. Ragazzi in presenza, distanziati, con banco singolo igienizzato, con la mascherina da tenere addosso tutto il giorno. Ragazzi in quarantena che devono seguire le lezioni online, contemporaneamente ai compagni che invece sono in presenza. Ragazzi che hanno faticato a immagazzinare ordinatamente tutte le numerose e non sempre comprensibili regole di questo periodo tremendo e doloroso.
Ma gli studenti ce l’hanno fatta. Hanno imparato a rispettare tutti i limiti. Nell’intervallo scendono in cortile in fila, passando davanti all’insegnante che igienizza loro le mani prima che escano dalla classe; poi in cortile restano nel quadrato assegnato alla loro classe, abbassano la mascherina per mangiare, poi la rialzano; chiacchierano, giocano, passeggiano in circolo. Tutto ordinatamente, ma certo con una grande fatica psicologica. Però c’è di peggio, perché qualcuno è relegato in casa e da lì si deve connettere secondo un calendario prestabilito e seguire al meglio le lezioni, in solitudine, deve eseguire i compiti richiesti, senza vedere gli amici.
Ma ce la fanno tutti! Anzi, sono bravi e rispettosi, sono piccoli sì, ma aggiornati sia sul COVID sia sui DPCM. Hanno paura di venire rinchiusi di nuovo, però hanno la speranza che è forte in loro.
Forse perché sono giovani?
Forse perché non hanno capito quanto sia grave la faccenda?
Forse perché sono poco concreti?
No, nulla di tutto ciò, a parer mio. Penso che abbiano un grande seme di speranza dentro di loro, un seme come quello della senape, che alla vista è piccolissimo, ma nella realtà diventa grande.  (“…simile a un granello di senape, il quale, quando lo si è seminato in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra… ma quando è seminato, cresce e diventa più grande…” [Mt 13,32]).
Nel cuore custodiscono la speranza perché sono più malleabili di noi “vecchietti” e riescono, dopo un po’ di tempo, ad adattarsi alle situazioni complesse trovando delle strategie di sopravvivenza e non solo… anche di speranza. Non si lasciano sconfortare. Anche chi deve restare a casa saluta con vivacità chi ha la fortuna di venire a scuola in presenza, salutano dal video del professore e attendono di reincontrare i compagni “dal vivo”, contando i giorni alla rovescia come un Calendario dell’Avvento costante. Ma ce la fanno.
Soffrono? Sì, certo, ma hanno imparato ad accettare di sentirsi diversi e soli. Anzi, ora capiscono meglio la diversità di certi compagni. In quanto alla solitudine è certo più faticosa da accogliere, però spunta la speranza di superare il momento. E intanto procedono passo passo verso il Natale. Un Natale diverso, sicuramente, più in sordina, ovvio, ma forse più profondo e quasi quasi più ricco: di speranza e di serenità.

Maria Bertoldi

Granello di senape
Granello di senape
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